Maria Pia Calzone: «A 45 anni per il cinema una donna è vecchia. Colpa degli stereotipi. E dei soldi» (2025)

Maria Pia Calzone: «A 45 anni per il cinema una donna è vecchia. Colpa degli stereotipi. E dei soldi» (1)Maria Pia Calzone. Foto di Francesca Marino

Il prossimo ruolo che interpreta, una commissaria di polizia, era stato scritto per un uomo. Quando le hanno chiesto se le interessava la parte, lei ha accettato a una condizione: «lo faccio solo se non cambiate una virgola, non addolcitelo: è un ispettore, conta la sua professionalità, non il genere». Maria Pia Calzone, 54 anni, gli stereotipi, continua a rifiutarli. (In Gomorra, la sua Donna Imma rivendica il desiderio e l’ambizione al potere). Perché la parità di genere rappresenta un tema che la tocca. Il tempo per parlarne lo trova anche sul set della serie poliziesca che sta girando per Rai1, tra una ripresa e l’altra, mentre pranza nel camper. Cofondatrice dell’associazione Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), dove ricopre la delega alla parità di genere e nella giuria del premio Ilaria Branca di Romanico, donne sceneggiatrici che domani annuncerà i nomi delle cinque finaliste, è membro dell’Osservatorio sulla parità di genere del ministero della Cultura. Quella contro le disuguaglianze- fuori e dentro il set- non la definisce una battaglia, piuttosto «un cammino da fare insieme perché niente è più forte di un uomo che legittima delle prese di posizione». Eppure sullo schermo continua a dominare lo sguardo maschile, e adesso per l’attrice «non basta incentivare l’assunzione delle registe, né è sufficiente incrementare le professionalità femminili».

Allora, cosa serve?
«Sperimentare delle misure più radicali, promuovere per un tempo limitato politiche di premialità verso i progetti female-driven, ossia pensati da donne».

Sembra che nel cinema per le donne la discriminazione sia doppia: di genere e in base all’età.
«In Italia l’ageismo è un fenomeno che resiste. Quasi tutte le sceneggiature sono scritte per donne giovani».

Cosa si può fare?
«Per esempio ci si può iniziare a autoprodurre. Penso a Reese Witherspoon che oltre a essere attrice ha anche una sua casa di produzione o Sarah Jessica Parker che racconta il mondo delle donne non solo ventenni. In Italia , dai 45 anni in poi la possibilità di acceso al lavoro si assottiglia terribilmente. E questo porta a due conseguenze: lavori meno e si tramanda lo stereotipo per cui una donna risulta interessante solo se sessualmente appetibile».

Invece?
«Proprio dai 45 anni in poi, le attrici sono in grado di raggiungere dei risultati importanti nella carriera perché riescono a emanciparsi da determinate situazioni familiari».

Si riferisce alla maternità?
«Io non ho avuto figli da giovane perché non me li sarei potuti permettere, dovevo costruirmi come essere umano, come professionista. Sono diventata madre tardi. Alcune mie coetanee si sono negate la maternità, l’hanno procrastinata e poi non c’era tempo. Ma sullo schermo, così come nella vita, proprio le over 45 diventano personaggi interessanti, con sfaccettature diverse».

Faccia un esempio.
«Io ho un figlio di 13 anni, una mia amica è nonna. Si può essere cinquantenni e avere vite diversissime ed esperienze importanti che diventano una ricchezza da condividere. Alle nuove generazioni raccontiamo invece che devono correre, si devono affrettare perché poi a un certo punto – dopo i 45 - moriamo, scompariamo, non siamo più degne di essere raccontate».

In che modo continuare a esistere?
«Prendersi i ruoli che finora sono stati considerati prevalentemente maschili, garantire l’accesso ai fondi per l’imprenditoria femminile. I soldi sono un problema reale, per esempio nella documentaristica ci sono più registe perché i budget sono minori».

Il soffitto di cristallo lei come lo ha rotto?
«La mia forza è stata la tenacia e oggi mi sento privilegiata, faccio quello che amo. Ma ho avuto anche io momenti di sconforto, mi è successo di sentirmi cretina. Importantissimi sono i modelli di riferimento».

Mi racconti.
«Se io posso essere una cinquantenne astronauta in una serie televisiva, la bambina che la vedrà riuscirà a immaginarsi astronauta. Io ci tengo ai miei ruoli».

Per citarne solo due: è stata Ornella l’infermiera estremamente buona in Benedetta Follia e donna Imma, la temuta di Gomorra.
«Sono stata anche una trans, la Madonna e una sirena che dice le parolacce (ride). Ho avuto la possibilità di raccontare modelli femminili distinti e non stereotipati».

Eppure sullo schermo ricorre spesso il binomio femme fatale o angelo del focolare. E l’eroina che nella vita reale non esiste.
«Nell’ultimo monitoraggio annuale Rai si vede che la rappresentazione della donna raggiunge il 70% solo quando si tratta di una psicologa oppure di una madre accogliente. Supera l’80% per le sex worker. Quel binomio è ancora presente, ma molte cose stanno cambiando e la mia presenza su questo set lo dimostra».

Si è mai sentita penalizzata?
«Faccio parte di una generazione abbastanza sfigata. Quando ero ragazza c’erano pochissime possibilità di accesso al lavoro e una fortissima distinzione tra televisione e cinema: quella è stata la mia forma di penalizzazione. Gomorra mi ha dato la dignità attoriale e ha dimostrato che potessi fare tutto».

Tre film in cui ha recitato sono stati diretti da donne. Quali differenze ha notato?
«Se è abbastanza normale che un regista guidi sia uomini che donne, per le registe si ha ancora l’impressione che debbano raccontare storie al femminile o dirigere solo attrici. Come se non fossero in grado di guidare anche i personaggi maschili. In America dicono: dobbiamo smetterla di lamentarci e darci una mossa».

E lo stiamo facendo?
«Sì, anche se in Italia siamo molto indietro, ma ripeto, tante cose stanno cambiando».

Per esempio è nato il Premio Ilaria Branca di Romanico, indetto dalla Società Umanitaria, che valorizza il talento femminile nella scrittura cinematografica. Unita fa parte della giuria.
«Quel premio è la dimostrazione che le donne si stanno organizzando tra di loro. Iniziano a riunirsi, confrontarsi, fare networking. E questo clima in cui ci sono donne che parlano ad altre donne con l’obiettivo di aiutarle è già un cambiamento».

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6 aprile 2022 (modifica il 6 aprile 2022 | 15:24)

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